L’ osteopata lavora sul ripristino dell’equilibrio funzionale del corpo al fine di ridurre gli effetti dello stress; ciò avviene attraverso l’attivazione dell’asse ipotalamo-ipofisi-surrene e del sistema simpatico adrenale (Vanitallie, 2002): l’individuo infatti, in caso di eventi stressogeni, intraprende una risposta adattativa andando incontro ad adattamenti locali o generali (Selye, 1956) dei tessuti e delle funzioni ad essi correlate (Mueller e Maluf, 2002; Sueki et al., 2013). Questi adattamenti creano alterazioni della meccanica tissutale che l’osteopata può rilevare attraverso la palpazione (Lunghi et al., 2016).
Nell’ambito del ragionamento clinico osteopatico si distinguono due fasi (Grace et al., 2016): nella prima l’osteopata, con domande mirate e utilizzando un approccio biomedico, esclude condizioni cliniche che necessitano di un rinvio ad uno specialista; nella seconda fase, tramite la palpazione, esegue una valutazione basata su diversi modelli correlando le varie strutture del corpo, sia biomeccaniche che viscerali, con la rispettiva funzione: questo permette all’osteopata di eseguire un ragionamento basato su quanto evidenziato in anamnesi e durante la palpazione; inoltre le relazioni struttura-funzione sono utilizzate dagli osteopati per esplorare le connessioni tra segni, sintomi e dati riportati dal paziente, apparentemente non correlati tra loro e con il motivo di consulto (Grace et al., 2016). Alla fine identifica le aree effettivamente più in sovraccarico e da trattare che possono essere distanti dalla sede del dolore per il quale è venuto il paziente.
Questo processo guida l’osteopata alla selezione di un modello di approccio, focalizzandosi sulla struttura disfunzionale e sul coinvolgimento della persona in attività inerenti al suo stile di vita, attraverso consigli e rinvii presso altri professionisti (Lunghi et al., 2016).
Lucrezia Rinaldin D.O.